Allegato 2 alle Norme Tecniche di Attuazione del PAI

Allegato al dpcm 5 maggio 2005 (pubblicato in g.u. Serie Generale n. 248 del 24-10-2005)

(Estratto con note redazionali esplicative)

Norme del PAI e Allegati – Allegato 2

INDICAZIONI PER L’ADEGUAMENTO DEGLI STRUMENTI
URBANISTICI AL PAI E CRITERI PER LA REDAZIONE
DI PROPOSTE DI INTEGRAZIONI E MODIFICHE

Ai fini di quanto previsto agli articoli 27 e 32 delle norme di attuazione del PAI, il presente allegato fornisce le indicazioni a cui le amministrazioni devono attenersi per la redazione degli elaborati tecnici di supporto.

A) Indicazioni per l’adeguamento degli strumenti di governo
del territorio.

Ai sensi dell’art. 27 delle norme di attuazione del PAI, le amministrazioni devono procedere all’adeguamento dei propri strumenti di governo del territorio. Laddove siano prodotte dalle amministrazioni documentazioni tecniche di maggior dettaglio, suscettibili di produrre articolazioni locali differenziate rispetto alle pericolosita’ indicate dal PAI, l’Autorita’ di bacino, dato atto della confrontabilita’ dei dati prodotti con il proprio quadro conoscitivo, si esprime ai sensi dell’art. 32, commi 8 e 9.

Per documentazione tecnica di maggior dettaglio si intende:

indagini geologico-tecniche a supporto della pianificazione;
approfondimenti specifici di carattere geologico-tecnico ed analitico in genere, che hanno condotto all’aggiornamento degli strumenti di governo del territorio;
[omissis]
rilievi topografici;
rilievi geomorfologici, sedimentologici e morfometrici;
indagini geognostiche;
verifiche di stabilita’ ;
collaudi di opere di difesa idrogeologica.

B) Criteri per la redazione di proposte di integrazioni e modifiche.

Per integrazioni e modifiche si intendono le variazioni agli elaborati del PAI da apportare ai sensi dell’art. 32, commi 1-7, delle norme di attuazione.
Le amministrazioni che intendono proporre varianti agli elaborati del PAI, sono tenute a produrre la necessaria documentazione tecnica secondo i criteri di seguito elencati, suddivisi per pericolosita’ idraulica (ndr – non più vigente si applica il PGRA) e geomorfologica.

1. Pericolosita’ idraulica.
[omissis ]

2. Pericolosita’ da processi geomorfologici di versante e da frana.

Le proposte di modifica e integrazioni degli elaborati inerenti la pericolosita’ geomorfologica possono riguardare sia il livello di sintesi (scala 1:25.000), sia il livello di dettaglio (scala 1:10.000). In tutti e due i casi suddetti la proposta di perimetrazione delle aree a pericolosita’ dovra’ essere prodotta al livello di dettaglio (scala 1:10.000). Cio’ in quanto, coerentemente con quanto definito al secondo comma dell’art. 32 delle norme di attuazione del PAI, l’obiettivo e’ quello di estendere a tutto il bacino la cartografia alla scala di dettaglio. In tale ottica le proposte di integrazione e modifica, una volta recepite, vanno ad integrare il quadro conoscitivo del PAI alla scala 1:10.000.
Nella cartografia di sintesi, alla scala 1:25.000, permangono pertanto solo le informazioni riferibili al generico insieme dei dissesti geomorfologici di versante.

La pericolosita’ geomorfologica nel livello di dettaglio e’ definita
secondo tre classi distinte:

P.F.2 pericolosita’ media,

P.F.3 pericolosita’
elevata

P.F.4 pericolosita’ molto elevata.

Ai fini di quanto indicato nell’introduzione, la proposta di carta di pericolosita’ deve essere elaborata sulla base dell’identificazione sul territorio di tali classi.
Per la definizione dei perimetri, le cui modalita’ operative sono indicate in dettaglio al seguente punto 4), si deve fare riferimento ai fenomeni franosi rilevati, all’intorno fisico interessato dal dissesto e ai processi e alle condizioni geomorfologiche correlate al dissesto.
Dalla pericolosita’ geomorfologica sono esclusi, quindi, i fenomeni carsici e quelli di subsidenza se non connessi direttamente a forme franose (ad esempio crolli).  Ai fini della definizione della pericolosita’ si devono considerare i fenomeni di erosione lineare (alvei in erosione, etc.) quando siano in relazione a fenomeni di frana.

Fermo restando quanto sopra le procedure operative si articolano
nei seguenti punti:

1) il riconoscimento delle forme geomorfologiche che concorrono alla definizione dei perimetri della pericolosita’ deve essere effettuata secondo criteri riconducibili a quanto espresso nella “Legenda geomorfologica a supporto della pianificazione territoriale”  [omissis]  (ndr – Il riferimento aggiornato è la metodologia riportata nel portale dedicato all’IFFI all’indirizzo www.adbarno.it/iffi/)

Ai fini del riconoscimento e’ opportuno procedere a:
a) rilievo geomorfologico e geolitologico di un’area adeguata alla caratterizzazione dei dissesti e al suo inquadramento nel contesto territoriale aggiornato al momento della presentazione della domanda;
b) esplicitazione della tipologia del dissesto e dei suoi parametri morfometrici e cinematici;

2) lo stato di attivita’ per le varie tipologie di frana evidenziate
mediante le procedure di cui al punto 1) deve essere distinto,
in conformita’ alle definizioni indicate all’art. 2 delle norme di attuazione del PAI, in:
a) attivo;
b) quiescente;
c) stabilizzato.
Qualora le evidenze rilevabili secondo i criteri riconducibili a
quanto espresso al punto 1) non diano indicazioni ragionevolmente
univoche, occorre definire lo stato di attivita’ attraverso  l’applicazione di analisi di stabilita’ (verifica del fattore di sicurezza) secondo i metodi comunemente accettati nella letteratura scientifica;

3) nella delimitazione delle aree [ndr – a pericolosità da] frana secondo quanto indicato al punto 1), oltre all’area interessata dalla frana in senso stretto, per le frane attive e quiescenti deve essere presa in considerazione anche l’area eventualmente interessata, direttamente o indirettamente, dall’evoluzione del dissesto. Pertanto, la definizione spaziale deve considerare anche la distanza di propagazione, i limiti di retrogressione e la possibile espansione areale del fenomeno franoso. Particolare attenzione deve essere posta nell’identificare i processi geomorfologici che, anche se non direttamente correlati a movimenti gravitativi, possono configurarsi come agenti scatenanti o aggravanti del dissesto (alvei in erosione o approfondimento, fenomeni erosivi, etc.);

4) una volta definito il perimetro delle aree in frana secondo le procedure sopra indicate, la classe di pericolosita’ da processi geomorfologici di versante va individuata secondo la seguente legenda:
P.F.4 (pericolosita’ molto elevata): comprende le aree in frana attiva e il loro intorno, definiti secondo i criteri di cui ai punti 1), 2) e 3);
P.F.3 (pericolosita’ elevata): comprende le aree in frana quiescente
e il loro intorno, definiti secondo i criteri di cui ai punti 1), 2) e 3);
P.F.2 (pericolosita’ media): comprende le aree in frana stabilizzata;

5) redazione della carta di pericolosita’ in scala 1:10.000, su base cartografica adottata dall’Autorita’ di bacino per i livelli di dettaglio;

6) informatizzazione dei tematismi della pericolosita’ secondo la struttura dati definita dall’Autorita’ di bacino e presentata nei formati di scambio adottati dall’Autorita’ . I dati devono essere coerenti con le basi cartografiche in formato digitale adottate dall’Autorita’ per i livelli di sintesi e di dettaglio;

7) produzione della documentazione relativa ai tematismi secondo i modelli di metadato adottati dall’Autorita’ di bacino;

8) redazione della relazione tecnica illustrativa nella quale si illustrano, tra l’altro, le motivazioni che conducono [alle classi e all’estensione delle aree] di pericolosita’.

C) Sportello di consulenza.

[ndr – In applicazione dell’art. 35 NTA] Presso l’Autorita’ di bacino e’ istituito un apposito ufficio che fornira’ agli enti interessati la consulenza necessaria per la redazione delle proposte di modifica e integrazione alla perimetrazione delle aree a pericolosita’ .

Il progetto IFFI nel bacino del fiume Arno