Metodologia

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Metodologia redazione Inventario Fenomeni Franosi d’Italia per il bacino dell’Arno e per i bacini del Distretto Appennino settentrionale e per la definizione della pericolosità PAI.

Premessa

La metodologia qui descritta è stata applicata, con un inevitabile evoluzione nel corso degli anni in base ai dati disponibili,  per il bacino del fiume Arno. A partire dal luglio 2018 è la metodologia di  riferimento per le modifiche ed integrazioni per gli altri bacini del Distretto Appennino settentrionale.

La metodologia adottata dall’Autorità di bacino per realizzare l’inventario dei fenomeni franosi (o meglio della aree interessate da fenomeni franosi) deriva dal progetto IFFI curato da ISPRA, ed è coerente con essa. La metodologia è di tipo “tradizionale” ed è basata sulla raccolta di dati storici e indagini geomorfologiche di terze parti, prevalentemente banche dati geologiche a supporto della pianificazione territoriale delle pubbliche amministrazioni, analizzate e trattate tramite fotointerpretazione (di tipo multitemporale almeno per l’analisi su ortofotopiani), affiancata da analisi dei rilievi LIDAR quando dispinibili, e verifica di campagna delle chiavi di lettura per garantire la necessaria coerenza a livello di bacino. L’attività di campagna permette di verificare ed integrare le informazioni già disponibili e di rilevare nuovi dissesti. I sopralluoghi sono la principale fonte di acquisizione delle evidenze dello stato di attività dei dissesti, sopratutto quando si rilevano condizioni di rischio, sono pertanto lo strumento principale per la definizione della classe di pericolosità del PAI.

Quando sono disponibili, particolare importanza riveste l’analisi del territorio tramite rilievi LIDAR,  l’esperienza operativa ha infatti  dimostrato  che quest’ultimi permettono, con buona confidenza, di definire con precisione  limiti e tipologie di forme e, talvolta, concorrono a definire il loro stato di attività.

L’interpretazione geomorfologica del territorio è integrata dall’analisi dei dati radar  satellitari.

La metodologia applicata ha una spiccata valenza operativa, finalizzata alla stima delle condizioni relative di pericolosità, ovvero alla definizione  di aree interessate da movimenti di massa costituiti prevalentemente da terra o roccia che determinano classi relative di pericolosità da frana del PAI. Lo scopo  è quindi riconoscere sul terreno aree (poligoni) omogenee per processi geomorfologici di versante o per altri processi gravitativi dalle quali derivano le aree a pericolosità comprensive delle possibili zone d’influenza.

Non è richiesta e non è prevista una delimitazione delle forme che abbia una rigorosa restituzione delle singole componenti geomorfologiche (scarpate, corone di frana, corpo di frana, contropendenze, elementi puntuali o lineari descrittivi), l’esperienza operativa ha insegnato che tali elementi non sono efficacemente traducibili in aree omogenee per condizioni di pericolosità.

Taluni aspetti prettamente geomorfologici possono essere relegati in secondo piano, a favore di criteri di omogeneità a livello di bacino e per garantire gli adeguati livelli di coerenza con gli strumenti di governo del territorio delle amministrazioni locali. Risulta inoltre importante tener presente che la metodologia applicativa dell’IFFI prevede un approccio di prima approssimazione di tipo geomorfologico-morfometrico, in cui le forme che possono essere generate da processi gravitativi, in assenza di ulteriori evidenze contrarie,  sono trattate come tali: si tratta quindi di una sorta di postulato che favorisce il riconoscimento di forme gravitative anche qualora la genesi geomorfologica potrebbe essere di diversa natura, come nel caso di processi erosivi differenziali.

Specifiche dello standard IFFI adottate dall’Autorità di bacino dell’Arno.

Le specifiche qui descritte derivano dall’esperienza maturata nella redazione del PAI (2000-2005) e nel suo aggiornamento (2005-2017).

La struttura della banca dati IFFI a livello nazionale è completa e relativamente complessa. In origine, per l’archiviazione delle informazioni alfanumeriche, è previsto l’utilizzo di uno specifico database relazionale MS Access per l’inserimento e l’interrogazione dei dati alfanumerici. Considerato la tipologia dei dati acquisiti e le esigenze di utilizzo integrato con l’ambiente GIS, l’Autorità di bacino dell’Arno ha portato avanti l’aggiornamento della banca dati sulla base di una struttura dati semplificata, costituita da una sola tabella di attributi alfanumerici con un rapporto uno ad uno con la parte geografica, quest’ultima prevede una geometria puntuale e una poligonale, non è implementata la geografia lineare. Lo strumento di implementazione ed aggiornamento della banca dati è quindi un qualsiasi software GIS che sia compatibile con il formato Shapefile della ESRI.

Le informazioni raccolte nella banca dati del bacino dell’Arno sono del 1° e, parzialmente, del 2°livello IFFI.

Per la natura dei fenomeni presenti nel bacino dell’Arno e per la necessaria coerenza con il PAI e quindi con quanto rilevato dagli strumenti di governo del territorio, la procedura IFFI applicata dall’Autorità di bacino ricorre diffusamente all’uso della tipologia “aree soggette a: vari tipi di movimenti diffusi” (codice 11, che comprende quindi anche i fenomeni definiti nell’IFFI come “aree soggette a a crolli/ribaltamenti diffusi”, “aree soggette a sprofondamenti diffusi” e “aree soggette a frane superficiali diffuse”) sia nello stato di attivo (100) che in quello quiescente (200).  La prima combinazione di forma e attività (11/100) è indicata nel PAI come “Aree a franosità diffusa” e la seconda (11/200) come  “Aree a Deformazioni Superficiali” .

Lo standard nazionale prevede la registrazione di un evento franoso nella sua collocazione spazio-temporale, dando la possibilità di registrare la storia dello stato di attività dell’evento franoso. Nel caso dei dati della banca dati del bacino dell’Arno è regola generale registrare la data di osservazione del momento in cui è stimato o verificato lo stato di attività che è riportato in banca dati, senza necessariamente riportare la storia dell’evento, eventi nel tempo particolarmente significativi devono comunque essere indicati nel campo note. Quando la fonte è il rilievo di campagna la data di osservazione indica sempre il giorno del sopralluogo anche  se sono disponibili altre informazioni. Si assume che il rilievo di campagna è predominante come fonte informativa ed è la sede  in cui è effettuata la sintesi delle conoscenze, disponibili in quel momento, per stabilire lo stato di attività.

Metodi operativi per la definizione dell’estensione, tipologia e stato attività dei dissesti franosi

La definizione della tipologia, dell’estensione e dello stato di attività applicati per l’IFFI nel bacino dell’Arno è sviluppata secondo un processo integrato in ambiente GIS che utilizza più metodi (elencati più avanti), per tutti è necessario un rilievo di campagna per la calibrazione.

I metodi principali si basano sull’analisi delle evidenze superficiali sul terreno e sui manufatti  conseguenti a movimenti del terreno. In generale i riferimenti principali sono:

  • l’evidenza superficiale di macro e micro forme morfologiche proprie dei dissesti gravitativi;
  • il confronto multitemporale dell’evoluzione delle forme;
  • la patologia strutturale dei manufatti.

L’analisi dell’uso del suolo è utilizzata a supporto degli elementi sopra descritti e viene utilizzata con attenzione negli ambienti caratterizzati da diffuso abbandono della pratica agricola.

Nella pratica le evidenze visive, se chiaramente riconoscibili, hanno un valore predominante rispetto a qualsiasi altro metodo.

Nel dettaglio i metodi utilizzati sono:

– evidenza superficiale, rilevate in campagna, degli effetti del movimento del terreno. I rilievi di campagna sono ammissibili se corredati da documentazione fotografica e localizzazione del rilievo (nella sezione dedicata sono riportati i rilievi effettuati dall’Autorità di bacino). Il rilievo di campagna è il riferimento indispensabile per tarare i metodi che seguono;

– evidenze superficiali degli effetti del movimento del terreno (macro forme) rilevate da analisi stereoscopica di fotoaeree o analisi piana di ortofoto multitemporali in abbinamento a dtm LIDAR;

– evidenze superficiali degli effetti del movimento del terreno (macro forme) rilevate da analisi piana di ortofoto su riprese multitemporali (sempre disponibili gli anni 1954-1978-1988-1996-2000-2010-2013-2016), quando possibile a grande scala (voli con scala riferimento 1:2000, riprese Google Map, Bing e simili);

– movimenti manufatti registrati con tecniche tipo InSAR (Permanent Scatterers o assimilabili);

– misure strumentali geotecniche;

– studi e rilievi di dettaglio (comprese relazioni geologiche con  verifiche di stabilità);

– cartografia geomorfologica alla scala 1.10.000 o superiore e studi correlati (principalmente banche dati regionali e strumenti urbanistici comunali);

– testimonianze dirette qualificate (sono ammesse se è disponibile un riscontro indipendente, quali foto o altre fonti);

-fonti informative quali giornali o pubblicazioni divulgative, fotografie, servizio street view di Google.

Definizione del limite tra stato attivo e stato inattivo

Il limite tra forma attiva e forma inattiva applicata nel progetto IFFI dell’bacino dell’Arno differisce nominalmente dai criteri nazionali: lo stato di attività è esteso anche a forme che risultano inattive nell’ultimo ciclo stagionale.

In armonia con la pratica operativa applicata nella redazione e nell’aggiornamento del PAI, si assume come attivi i fenomeni in atto o temporalmente “ricorrenti”, ovvero i fenomeni che presentano un evoluzione su una scala temporale indicativa di 10-15 anni.  Nella pratica operativa vengono definiti attivi:

  • i fenomeni che hanno mostrato chiare evidenze di attività (secondo i metodi sopra indicati) negli ultimi 10-15 anni;
  • i fenomeni effettivamente registrati entro 10-15 anni, anche se nell’attuale si presentano completamente inattivi o obliterati  (tipicamente nel caso di lavorazioni agricole o trasformazioni urbanistiche ) con l’eccezione delle forme completamente smantellate da processi antropici (ad esempio cave attive, discariche, aree intensamente urbanizzate);
  • i fenomeni che mostrano fasi attive ricorrenti o prolungate nelle fonti documentali disponibili (che per tutto il bacino partono dal volo GAI del 1954) e che negli ultimi 10-15 anni forniscono qualche indicazione di attività secondo le metodologie indicate sopra.

Sono rilevate come  inattive quiescenti (o potenzialmente instabili) le forme che negli ultimi 10-15 anni forniscono univoche indicazioni di inattività e che tuttavia hanno possibilità di riattivarsi nell’attuale condizione morfologica e climatica. Dovrà pertanto essere valutato caso per caso, in base alle evidenze degli ultimi 15 anni e allo stato geomorfologico attuale, lo stato di attività di frane per cui sono documentata nel tempo fasi attive e ricorrenti.

Le frane inattive stabilizzate sono da intendersi come categoria residuale che non possono riattivarsi nelle attuali condizioni morfologiche e climatiche, tuttavia è bene ricordare ed evidenziare che le variazioni morfologiche di natura antropica possono determinare le condizioni proprie delle frane inattive stabilizzate (se sono modifiche a favore della stabilità) piuttosto che di quelle inattive quiescenti (se sono modifiche sfavorevoli alla stabilità).

Il limite di 15 anni è un limite operativo che fa riferimento a serie di dati particolarmente abbondati e continui che permettono una certa confidenza nella valutazione delle evidenze di superficie, ovvero le foto aeree del volo ITALIA 2000 (anni 1998-1999) e dei successivi voli 2005, 2010, 2013 e 2016,  la serie dei dati InSAR del satellite Envisat 2002-2010 e del Radarsat 2003-2008 in confronto con la serie ERS 1992-2000 (nello specifico >>>), i rilievi LIDAR e, infine, i rilievi di campagna effettuati dall’Autorità di bacino dal 2001 ad oggi.  Il limite indicato deve essere considerato con una certa flessibilità in rapporto al contesto geomorfologico e alla natura dei dati disponibili. Particolare attenzione dovrà essere posta nella valutazione dei dati strumentali quali inclinometri e fessurimetri, sopratutto in presenza di letture con evidenze non univoche e in assenza di informazioni indipendenti.

Metodologia definizione Pericolosità da frana del Piano d’Assetto Idrogeologico per il bacino dell’Arno

Come già esplicitato nella pagina introduttiva (>>>) la definizione dell’estensione e della classe della pericolosità da frana è un elaborazione diretta dell’Inventario dei Fenomeni Franosi.  La metodologia genarele è formalizzata e riportata nell’allegato 2 alle norme di attuazione del PAI. La corrispondenza tra forme e classe di pericolosità è esplicitata nella tabella di decodifica già richiamata nell’introduzione.

La metodologia operativa nel corso della fase di aggiornamento del PAI è stata interessata da limitati affinamenti legati soprattutto a specificare i criteri di prima approssimazione della definizione della superficie di possibile evoluzione dell’area in dissesto da frana (o superficie d’influenza dell’area in dissesto), criteri che sono stati esplicitati per favorire le procedure GIS di generazione della pericolosità (geoprocessing tramite buffering). Per una completa trattazione dei criteri operativi di definizione della pericolosità si rimanda alla presentazione “Procedura di adeguamento alla pericolosità da frana del PAI tramite l’aggiornamento della banca dati IFFI” redatta allo scopo.

L’approfondimento del passaggio da informazione geomorfologica a delimitazione delle aree a pericolosità deve essere direttamente proporzionale alle condizioni di rischio, applicando un generale criterio di cautela che deve rispettare principi di buon senso e ragionevolezza legati dalla realtà fisica del territorio.  Si deve infatti ricordare che la normativa PAI ex DL180/98 sulle aree in frana impone norme d’uso sul territorio particolarmente vincolanti che non possono avere carattere vessatorio.

Per approfondire

    • Progetto IFFI di ISPRA >>>
    • Metadato strato informativo IFFI dell’Autorità di bacino >>>
  • Presentazione “Procedura di adeguamento alla pericolosità da frana del PAI tramite l’aggiornamento della banca dati IFFI” >>>

Il progetto IFFI nel bacino del fiume Arno