Utilizzo delle elaborazioni PS per l’integrazione del DB IFFI

I dati di deformazione dei PS e i prodotti ottenuti dalla loro elaborazione sono stati utilizzati per arricchire le informazioni riportate nel database delle aree in dissesto nel bacino del fiume Arno, realizzato secondo lo standard IFFI (aggiornamento dicembre 2010) e consegnato ad ISPRA per l’implementazione nel DB nazionale.

I risultati ottenuti sono stati organizzati in un progetto web-GIS in modo da poter visualizzare sia l’effettiva distribuzione spaziale dei dati puntuali di deformazione all’interno delle aree in frana, sia le diverse informazioni dovute all’eventuale presenza di HDPSA o alla possibilità di ricostruire l’andamento del vettore spostamento nel piano EOZN o effettuare stime puntuali sullo stato di attività del fenomeno osservato.

Il database dei fenomeni franosi censiti nel bacino dell’Arno, aggiornato a novembre 2010, individua circa 25500 aree in dissesto su tutto il territorio del bacino, di cui circa il 10% presentano elementi antropici significativi per una valutazione dello stato di rischio. Di queste ultime, oltre il 90% risultano interessate dalla presenza di PS; su di esse è stata effettuata un’analisi statistica dei valori di velocità registrati dai satelliti, in modo da caratterizzare, ove possibile, la velocità media del corpo di frana e individuare spazialmente le aree con i valori di deformazione più elevati. Nello specifico, considerando tutti e tre i satelliti e non ponendo limiti sul numero di bersagli radar presenti nelle aree in dissesto, le frane con informazione PS sono risultate 3068 ovvero circa il 12% del totale.

L’individuazione delle HDPSA (Figura 14), in particolare, ha permesso di identificare, all’interno delle aree in dissesto, le zone con forti evidenze di movimento, confermato o meno dai tre satelliti, da quelle dove invece le elaborazioni svolte individuano la presenza di un sostanziale stato di stabilità. Questo ha permesso di individuare, all’interno di uno stesso fenomeno, le aree a maggior rischio per le strutture antropiche e la popolazione residente, in modo offrire un utile supporto nella definizione delle priorità d’intervento per la messa in sicurezza del territorio.

Figura 14 – applicazione delle elaborazioni HDPSA al DB IFFI

I risultati ottenuti da questa analisi hanno evidenziato una sostanziale coerenza tra stato di attività attribuito sulla base di dati bibliografici e analisi di campagna e quello emerso, ove vi era sufficiente copertura, dall’analisi dei dati satellitari. La distribuzione delle HDPSA sul territorio ha peraltro messo in risalto la necessità di procedere, in alcuni casi, ad una revisione della geometria delle aree in dissesto censite, in modo da comprendere anche aree limitrofe comunque interessate da fenomeni deformativi in atto, ed in altri casi, ad approfondimenti di studio per l’identificazione di nuove aree originariamente sfuggite al censimento.

Le aree in dissesto con informazione HDPSA risultano essere circa il 6% (1443 dissesti) del totale. Sebbene questo dato percentuale possa sembrare abbastanza modesto, in realtà, proprio in virtù della natura fisica dei PS, rappresentati per lo più da strutture antropiche ad elevato potere riflettente, tali dissesti sono quelli che interessano le aree a maggiore presenza di attività antropiche e quindi di maggiore rilevanza per la stima del rischio.

Infatti, come possiamo osservare dal grafico di Figura 15, la percentuale di aree in dissesto interessata da informazione HDPSA risulta strettamente dipendente, come è lecito aspettarsi, dalla concentrazione di edifici presenti sul territorio. Nel nostro caso, in particolare, possiamo vedere che mentre le HDPSA possono fornire informazioni utili alla caratterizzazione dei dissesti soltanto per circa il 60% delle aree in frana con un numero di edifici inferiore o uguale a tre, la stessa informazione può invece essere utilizzata per circa il 93% delle frane con almeno 15 edifici al loro interno, fino a riguardare tutte le aree in dissesto con almeno 23 edifici.

Lo aree in frana con informazione HDPSA sono risultate per il 27% attive, per il 57% quiescenti e per il 16% stabilizzate. In Figura 16 è riportata la distribuzione dei settori a diverso stato di attività individuati tramite le HDPSA all’interno delle aree in dissesto censite, suddivise in base al loro stato di attività individuato nel DB IFFI.

Figura 16 – distribuzione delle HDPSA all’interno delle aree in dissesto suddivise per stato di attività

Nel caso delle frane attive, come accennato precedentemente, l’informazione HDPSA ha permesso di discriminare settori attivi da settori stabili, con possibilità di individuare le aree a rischio idrogeologico più elevato. Per quanto riguarda invece le frane quiescenti, questa analisi ha evidenziato che circa il 30% delle aree presenta forti evidenze di instabilità, sottolineando la necessità di procedere ad una parziale revisione della geometria per la delimitazione dei settori attivi, eventualmente effettuando un confronto tra informazioni acquisite in periodi temporali distinti. Per quanto riguarda infine le frane stabilizzate, sebbene rappresentate solo dal 16% di tutti i dissesti con informazione HDPSA, circa il 40% hanno messo in risalto la presenza di aree attive, con necessità di rivederne lo stato di attività complessivo o, eventualmente, individuare al loro interno aree potenzialmente instabili.

Tutte le informazioni sulle aree in dissesto, rappresentate sia dai dati puntuali PS, con valori di velocità media sull’intero periodo e serie storiche degli spostamenti, che dai loro prodotti derivati, sono state organizzate in un geodatabase relazionale che, tra le altre cose, permette di generare, per ogni singolo dissesto, un quadro d’insieme sulla disponibilità delle diverse informazioni.

Per svolgere approfondimenti di dettaglio sui singoli fenomeni franosi, può essere molto utile effettuare un’analisi spaziale del vettore spostamento nel piano EOZN ottenuto tramite ricampionamento su griglia comune dei dati ascendenti e discendenti (Figura 11). Questo dato ci permette infatti di verificare l’eventuale coerenza tra azimut del movimento ed esposizione media del versante, condizione generalmente indicativa di dissesti gravitativi, oltre a farci capire quale sia la componente principale del movimento (verticale o orizzontale) e come essa vari spostandosi lungo il corpo di frana rispetto alla superficie topografica. Supponendo che il movimenti registrati dai PS siano indicativi di quanto avviene lungo la superficie di scivolamento, tale informazione può risultare molto utile anche per avere indicazioni sulla tipologia di frana che stiamo esaminando, ovvero se si tratta di uno scivolamento rotazionale, con direzioni di spostamento che tendono ad orizzontalizzarsi passando dalla testa al piede della frana, o se si tratta di un fenomeno traslativo, con direzioni di spostamento che si mantengono sempre circa parallele alla superficie topografica (Figura 17).

Figura 17 – andamento del vettore spostamento nel caso di frana di scivolamento rotazionale e traslazionale

Nel geodatabase IFFI le informazioni riguardanti il ricampionamento sono state implementate tramite una feature class poligonale, costituita dalle celle di riferimento con maglia di 100 m che intersecano le aree in frana, dove, oltre ai principali parametri statistici dei PS ascendenti e discendenti che vi ricadono all’interno, sono riportate anche le caratteristiche delle rette utilizzate per la ricostruzione del vettore spostamento. E’ inoltre possibile aumentare l’affidabilità del dato imponendo criteri di selezione sul numero minimo di PS acquisiti nelle due geometrie, in modo da rendere più rappresentativo il valore di velocità media utilizzato.

Le aree in frana con informazioni riguardanti la ricostruzione del vettore spostamento nel piano EOZN sono risultate circa il 5% (1276) di tutte frane censite e la loro localizzazione, come abbiamo visto anche per le HDPSA, risulta strettamente legata alla presenza di elementi a rischio. Se poniamo come criterio di selezione per aumentare l’affidabilità del dato la presenza, in ogni cella di riferimento, di almeno 3 PS per entrambe le geometrie di acquisizione, la percentuale dei dissesti analizzabili scende all’1.6% (297 frane), ma le aree interessate risultano proprio quelle di maggior rilevanza per la stima del rischio.

A completamento dell’informazione sugli spostamenti registrati dai satelliti, il DB IFFI è stato implementato con i dati riguardanti il confronto tra i valori di velocità media registrati dal satellite ERS nel periodo 1992-2000 e quelli registrati dai satelliti ENVISAT e RADARSAT rispettivamente nei periodi 2003-2008 e 2003-2006.

Questo strato informativo, molto utile per valutazioni riguardanti lo stato di attività delle frane censite, per i motivi visti in precedenza presenta una copertura abbastanza limitata e riguarda comunque unicamente i dataset discendenti. Le frane interessate da questo tipo d’informazione sono risultate circa il 2.2% (550 dissesti) del totale.

Il fatto che sia stato possibile effettuare questo tipo di elaborazione solamente per il dataset discendente ne limita comunque il suo utilizzo, in quanto valori di velocità anche molto elevati, ma con direzione circa perpendicolare alla direzione di acquisizione dei discendenti, porterebbero a sottostimare fortemente il movimento in tale geometria, individuando uno stato apparentemente stabilizzato. Per questo motivo, il confronto tra le velocità medie nei tre sottoperiodi temporali utilizzati è stato effettuato anche tra i dati ottenuti dall’analisi congiunta delle due geometrie vista precedentemente. In questo caso, in particolare, per ottimizzare la copertura del risultato finale, il confronto è stato effettuato tra ERS (1992-2000) ed ENVISAT (2003-2008) e tra RADARSAT (2003-2006) e ENVISAT (2003-2008).

Le frane interessate da questo tipo d’informazione sono risultate circa l’1.8% (456) del totale, che, considerata l’estensione molto limitata della copertura (casentino, Val di Chiana, Valdarno aretino), rappresenta un buon risultato.

In generale, il confronto tra velocità medie delle celle di ricampionamento nei diversi periodi temporali non presenta valori univoci sullo stesso corpo di frana, ma, come visto anche per le HDPSA, permette di individuare settori a diverso stato di attività. L’informazione fornita può, in alcuni casi, risultare anche contrastante con lo stato di attività assegnato al fenomeno nel DB IFFI. In relazione a questo aspetto dobbiamo peraltro tenere presente che lo spostamento registrato è comunque riferito alle strutture riflettenti collocate al suolo che, sebbene il movimento del terreno su cui si trovano possa essersi arrestato, potrebbero risentire di assestamenti anche molto tempo dopo (caso di aree attive in fenomeni stabilizzati o quiescenti). Allo stesso modo, aree considerate nel loro complesso attive, potrebbero riportare, al loro interno, settori stabili nel periodo di osservazione dei satelliti. Un altro aspetto molto importante riguarda la direzione reale del movimento che, come abbiamo visto, avvicinandosi alla direzione NS introduce nel sistema una sottostima crescente dello spostamento registrato.

Tutti questi elementi fanno si che i dati di deformazione PS e le varie elaborazioni da essi derivate forniscano un importante elemento di supporto nella caratterizzazione delle aree soggette a deformazioni gravitative di versante, ma necessitino comunque di un’attenta analisi geologica tradizionale per la loro validazione e interpretazione definitiva. Nell’ambito dell’attività dell’Autorità di Bacino dell’Arno, in particolare, gli elementi derivati da queste analisi sono stati implementati nel DB IFFI come supporto all’attività istituzionale dell’Ente nelle istruttorie riguardanti gli approfondimenti del quadro conoscitivo PAI.

Il progetto IFFI nel bacino del fiume Arno