Ma fu colpa delle dighe?

All’indomani dell’alluvione, a fianco delle giuste indagini di carattere tecnico e scientifico, spuntarono decine di leggende metropolitane sulle colpe di quella catastrofe. I due impianti aretini di Levane e La Penna dell’ENEL assunsero immediatamente il ruolo dei grandi accusati. L’immaginario collettivo era ancora profondamente impressionato dalla sciagura del Vajont e fece presto ad intrecciare una analoga eventualità con le notizie che arrivavano da Firenze. Le cronache nazionali, d’altro canto, assecondarono questi timori, citando continuamente i due impianti nei reportages da Firenze. Un servizio del Telegiornale del 4 novembre, tra l’altro, dedicò molto spazio ad una scena un po’ confusa e traballante della diga di Levane vista da lontano che, in un rombo assordante, rovesciava dagli scarichi tonnellate di acqua sul fondovalle. Quel lungo servizio confermò le convinzioni che tuttora, dopo mille autorevoli smentite, continuano ogni tanto ad affiorare.

L’idea, nella sostanza, fu che i tecnici, nel timore di un cedimento delle strutture, avessero svuotato gli invasi proprio nel momento peggiore del colmo di piena, decretando così la sentenza per la città di Firenze. La procura della Repubblica, all’indomani dell’alluvione, incaricò Giovanni Cocchi, direttore dell’Istituto di idraulica di Bologna, e gli ingegneri Alessandro Giani e Giorgio Hautmann di compiere una perizia sulle due dighe e sul loro funzionamento tra il 3 e il 4 novembre. Le conclusioni della relazione decretarono inequivocabilmente l’innocenza delle due opere e delle maestranze che le governarono in quella terribile notte. Esse non furono le responsabili della tragedia. Anzi la loro presenza avrebbe in qualche modo evitato che l’immane catastrofe assumesse proporzioni maggiori di quelle raggiunte. Si appurò anche che furono compiute alcune manovre errate sugli scarichi e che, probabilmente, si tentò anche di nascondere questi fatti alterando i registri. Tali manovre, tuttavia, comportarono un ritardo nell’onda di piena che determinò, in fin dei conti, un effetto favorevole sull’evoluzione delle portate in città e sui livelli di inondazione. Ai tre periti furono sottoposti quattordici quesiti che hanno toccato tutti i punti caldi della questione delle responsabilità. In estrema sintesi è risultato che il sistema degli scarichi delle due opere era efficiente, che la successione delle manovre riportata dai registri non era attendibile. Fu comunque possibile ricostruirla attraverso adeguati calcoli. In conseguenza delle manovre effettivamente eseguite, la portata massima scaricata dalla diga di La Penna fu di 2645 mc/s, alle ore 4 del 4 novembre, quella scaricata da Levane fu, invece, di 2090 alle ore 4:00 mentre il primo colmo di piena, pari a circa 4000 mc/s giunse alle porte di Firenze alle ore 5:30. Un secondo colmo si verificò poi alle ore 14:00 con una portata di poco più bassa La anomala sequenza delle manovre a La Penna non fu attribuibile a difetti o a guasti dell’impianto, ma proprio a errori materiali nelle manovre eseguite dal personale e ai quali si pose rimedio a distanza di qualche ora. I periti ricordano tuttavia che le condizioni ambientali furono così estreme da giustificare incertezza nel personale in servizio che si trovò a gestire una situazione davvero drammatica e inusitata. La conseguenza di questi errori si tradusse nella necessità di eseguire le manovre con i martinetti elettrici e determinarono, come si è detto, un ritardo nell’apertura delle paratoie. Senza questo ritardo la portata massima scaricata a Levane sarebbe stata di 2250 mc/s contro quella di 2090, quale si è effettivamente verificata. Questo fatto, nei confronti dell’asta dell’Arno fino a Firenze, ha provocato generali leggere diminuzioni sia nei livelli massimi, sia nelle portate massime. L’entità di tali diminuzioni, è variabile da sezione a sezione, smorzandosi con la distanza dalla diga. Alle soglie della città la portata è stata inferiore di circa 80 mc/s ed il livello massimo di 5 cm circa. Anche un tempestivo svuotamento dei serbatoi all’inizio dell’evento avrebbe peraltro determinato una mitigazione pressoché trascurabile nell’impatto dell’alluvione su Firenze. Come il Piano di bacino dimostra chiaramente, le due dighe nella configurazione attuale, hanno ben scarse possibilità di intervenire efficacemente nella mitigazione delle piene.

 


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